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Parigi, 1870: L'Impressionismo e la rottura con la tradizione


Parigi 1870

54.000 lampade a gas illuminavano Parigi negli anni '60 dell'800. Era la città della luce.

Un milione di persone. Una grande città. Soltanto Londra può starle a fianco. Una città moderna. La prima linea ferroviaria aprì nel 1837. A questa linea si lega un periodo di massiccia migrazione dalle province alla città.

Luigi Napoleone Bonaparte, nipote di Napoleone e successore di Luigi Filippo, iniziò già nel 1848 un'azione di rinnovamento dell'urbanistica. Quest'azione diventò incisiva nel 1851, con il colpo di stato che rese Luigi Napoleone da presidente imperatore dei Francesi, con il nome di Napoleone III.

Già nei suoi tre anni di governo da Presidente aveva iniziato i lavori per abbellire Parigi, che tuttavia erano stati lenti

Nel 1851, da Imperatore, ingaggiò un nuovo prefetto della Senna: eccolo qui, Georges Eugène Haussmann. Il primo esperimento di Haussmann fu Rue de Rivoli.

Parigi assunse allora la sua fisionomia attuale, almeno nell'area centrale. Essa si dovette al nuovo prefetto della Senna, il barone Georges-Eugène Haussmann. Di qui, da Haussmann ecco i grandi e spaziosi boulevard, la nuova Opéra, il mercato centrale, gli acquedotti e infine i parchi, come i giganteschi Bois de Boulogne e Bois de Vincennes.

Il primo esperimento di Huss


Negli anni sessanta Napoleone promosse l'annessione delle cittadine circostanti. Nacquero allora otto nuovi arrondissement: Parigi assunse allora la configurazione attuale.

Sotto Napoleone III la città assunse quella fisionomia di città del progresso, della scienza - ma anche dell'arte e della moda - che in qualche modo si porta ancora dietro.


La Comune del 1871

Una lunga storia d'inimicizia e ostilità legava la Francia agli stati germanici. Nel 1870 la nuova Germania unita e militarizzata del cancelliere Bismarck affrontò in guerra la Francia di Napoleone III. La Francia fu battuta. La sconfitta si tramutò in disfatta quando nell'inverno 1870-1871 l'esercito prussiano strinse l'assedio intorno a Parigi. La città, affamata, bombardata si arrese nel gennaio 1871. Il 28 marzo un governo rivoluzionario chiamato la Comune prese il potere, reggendolo per due mesi. La Comune venne soppressa e soffocata nel sangue alla fine di maggio 1871.

La storia di Parigi dopo il 1871 continuò a fare rima con progresso, innovazione, splendore. Nel 1889, a cento anni dalla Rivoluzione Francese, l'Esposizione Universale elesse a emblema la Torre Eiffel. Nel 1900 una seconda Esposizione Universale portò alla costruzione del Ponte Alessandro III, del Grand Palais, del Petit Palais e alla prima metropolitana.

D'altro canto, quanto avvenne durante la Comune di Parigi del 1871 - con l'esplicito supporto di Karl Marx, fra gli altri - fu di estrema importanza per il pensiero politico e la cultura del secondo Ottocento. Segnò veramente una rottura e una strada nuova.


L'Impressionismo: la rottura con la tradizione. Ma quale tradizione?

La costituzione del 'movimento' impressionista passa attraverso la rottura con alcuni presupposti e tradizione, come la pittura romantica e la pittura classicista.


Alcune fonti degli Impressionisti

L’Impressionismo non nacque naturalmente dal nulla. È chiaro, specie in età moderna, ogni gruppo, soprattutto ogni artista ebbero la pretesa di essere completamente nuovi. Ma in realtà tutte le persone che avrebbero poi fatto parte dell’Impressionismo avevano dei punti di riferimento culturali e visivi precisi.

Al contrario, gli Impressionisti rivendicarono il legame con fonti diverse, in particolare con il realismo della pittura della c.d. scuola di Barbizon.
 

Realismo

 Cos’è il Realismo? Forse qualcuno fra voi ha sentito parlarne in letteratura. In Francia, il campione del realismo in letteratura fu Émile Zola. Il ventre di Parigiè il suo romanzo più famoso, anche se Zola era e rimane un punto fermo nell’intera vita intellettuale del paese, fino allo scadere del ‘900.

 

In pittura il Realismo - da non confondersi con il Naturalismo - può riassumersi nel tentativo, databile alla metà del XIX secolo, di creare, di restituire su tela una rappresentazione quanto più possibile obiettiva del mondo esterno, Il Realismo ebbe una base ideologica forte. Fu consciamente democratico e a volte socialista. Esso deliberatamente incluse sia nel soggetto, nei temi che nel pubblico delle classi sociali che in precedenza erano state poste ai margini dalla cosiddetta arte 'alta'. In questo senso il pittore più coerente fu senza dubbio Gustave Courbet. Courbet deliberatamente impiegò il termine 'realisme' a guisa di manifesto nel 1855.

Le radici del Realismo possono essere rintracciate negli anni trenta. Nel 1833 il critico Gabriel Laviron invocò un'arte che fosse accessibile, diretta, senza l'impiego di sovrastrutture allegoriche o letterarie. Fu poi Gustave Planche a menzionare direttamente il termine 'realisme'. Più tardi, quando i pittori realisti andarono affermandosi, i critici iniziarono a utilizzare il termine in senso dispregiativo, più o meno come sarebbe accaduto una ventina d'anni dopo con gli Impressionisti e l'Impressionismo.

Il Realismo nascque in ostentata opposizione con la cosiddetta Grande Maniera, che si legava a doppio filo con le accademie e con la tradizione classica, cioè anche al disegno dall'Antico. Rispetto al Romanticismo, che a sua volta aveva messo in crisi gli stessi valori e la stessa prassi, il Realismo si spinse ancora più a fondo. Esso per esempio coinvolse gli artisti sotto il profilo morale, chiedendo loro un'istanza di sincerità che in precedenza era sconosciuta. L'artista doveva a quel punto lasciare da canto ogni forma artistica imposta dall'esterno, per attenersi in termini imparziali alla propria visione. Il Realismo divenne così la restituzione su tela della percezione visiva del pittore.

Nel 1855 Courbet pubblicò il Manifesto del Realismo, dal titolo appunto Le Réalisme. Si trattava di un pamphletche accompagnava la sua mostra del 1855, o meglio il Pavillon du Réalisme a Parigi. In questo scritto Courbet enfatizzò, pose l'accento sui concetti di indipendenza dell'artista e di adesione alla realtà.

Uno dei quadri più famosi di Courbet e maggiormente legati al Manifestoè Un funerale a Ornans, oggi al Musée d'Orsay a Parigi. L'opera, realizzata nel 1849-1850, espose Courbet a una raffica di critiche negative. Le critiche per esempio non sopportavano il sottotitolo dell'opera "un tableau historique" applicato a un funerale di un uomo qualunque, non specificato. Il legame di una persona anonima, o comunque irrilevante sotto il profilo sociale, diveniva stridente quando si univa a una dimensione straordinaria della tela, lunga quasi 7 metri. A colpire infine erano la volgarità dei personaggi, ritenuti privi di decoro, la trivialità dell'insieme. La tela non soltanto era 'brutta', ma le figure erano troppo 'vere'.

Secondo quadro di Courbet esaminato in classe

L'atelier del pittore, allegoria reale che determina sette anni della mia vita artistica e morale» (L'Atelier du peintre. Allégorie réelle déterminant une phase de sept années de ma vie artistique et morale

L'opera, di dimensioni monumentali (359x598 cm) venne dipinta nel 1854 a Ornans, in Francia, la città natale dl pittore, entro un povero granaio.

«È il mondo che viene a farsi dipingere da me: a destra gli eletti, ovvero gli amici, i lavoratori, gli appassionati del mondo dell'arte. A sinistra, gli altri, coloro che conducono un'esistenza banale, il popolo, la miseria, la povertà, la ricchezza, gli sfruttati, gli sfruttatori, le persone che vivono della morte altrui»

Composizione

Tre nuclei principali. Il primo, al centro: vi troviamo lo stesso Courbet mentre dipinge un paesaggio della sua Ornans natia. Egli è benevolmente assistito da due figure: una figura femminile, in rappresentanza della «nuda» verità, e un bambino che allude all'innocenza con la quale bisognerebbe accostarsi all'arte. Courbet, pur compiendo una meditata riflessione sugli archetipi classici, ma li nega: Courbet descrive il corpo della donna con grande realismo e senza alcuna idealizzazione, evidenziandone in modo oggettivo e veritiero anche i lati meno accattivanti.

Gruppo di sinistra. «La gente che vive della morte». tutti coloro che preferiscono rifugiarsi nei beni materiali, nelle passioni o in una fede dogmatica piuttosto che affrontare la dolorosa presa di coscienza dell'infelicità della loro tragica condizione. Non sono quindi personaggi reali, ma presenze allegoriche che alludono a tutti quelli che conducono una «vita banale» e alle miserie della realtà sociale

Chi sono queste persone? in primo luogo gli uomini di religione. Una religione che per Courbet significa semplicemente cecità. Ma è anche una denuncia verso l’emarginazione degli ebrei.

Vi troviamo come simbolo dello svago anche un bracconiere con i suoi cani, colto mentre guarda una chitarra, un cappello piumato e un pugnale poggiati a terra, con i quali Courbet allude a un Romanticismo ormai tramontato. La prostituta è la personificazione del vizio e della degradazione morale, mentre il mercante qui si fa metafora dell'avarizia e delle bramosie umane. La povera popolana che allatta il bambino è una chiara e spietata allusione alla crisi economica che stava tormentando l'Irlanda in quegli anni, e quindi simboleggia la miseria

Un innaturale manichino, probabilmente utilizzato dal pittore per dipingere la crocefissione o il san Sebastiano: si tratta di un dettaglio che stigmatizza l'arte accademica, giudicata dall'artista falsa e soffocante.

Gruppo di destra. È definito dallo stesso Courbet le persone, la gente che vive della vita, ovvero tutti coloro che erano vivi dal punto di vista intellettuale e spirituale: questo pubblico, in particolare, è composto da quei committenti di Courbet che apprezzavano la sua arte e di cui era pertanto amico.

Champfleury (, ovvero lo scrittore Jules François Felix Fleury-Husson autore di un saggio sul Realismo) siede su uno sgabello;

All'estrema destra troviamo Alfred Bruyas, il mecenate di Courbet qui reso immediatamente identificabile dalla sua barba.

Baudelaire (simbolo della Poesia) siede su un tavolo assorto nella lettura di un libro

Un cenno alla zona posteriore. Allo sfondo. Nei piani di Courbet, doveva essere pieno di opere. Opere dello stesso Courbet, una sorta di quadro nel quadro. Alla fine venne lasciato in terra scabra.

La tavolozza di Courbet è prevalentemente composta da tinte scure, brune, «terrestri», liberamente alternate a macchie di colore più pure e luminose. Anche il livello di dettaglio è assai eterogeneo. Alcuni momenti, alcuni brani molto rifiniti. Altri invece lasciati apposta quasi non finiti.

Afterlife almeno altrettanto importante. Nel 1855 venne organizzata a Parigi l’Esposizione Universale. La Giuria accettò 11 lavori di Courbet. Ma non questo qui. Problemi di spazio, ma anche problemi di comprensione.

Courbet si ribellò. Organizzò con l’amico e mecenate Bruyas un padiglione a sé stante, che chiamò il Pavillon du Réalisme. «Padiglione del Realismo. Sarebbe stato il primo di una serie di Padiglioni dei rifiutati.

Il ruolo dei pittore a questo punto era definito, in termini sociali ma anche funzionali, professionali. È quello del mediatore. O se volete, dell’epidermide.

Cfr. Denvir Bernard, pp. 5-10

Ultime modifiche: mercoledì, 5 agosto 2020, 19:29